Oggi alle 14.30 verrà resa noto l’andamento dell’inflazione negli Usa. Sarà l’occasione per verificare se il trend continuerà nella sua marcia di allontanamento da livelli ritenuti “pericolosi” per la crescita. Dopo il calo di aprile, le aspettative sono di una ulteriore, seppur modesta, diminuzione, con i prezzi al consumo depurati dalle componenti più volatili (energia e alimentari) che dovrebbero attestarsi al 5.5% vso il 5.6% di marzo. Peraltro, da più parti si fa notare che sarà ben più determinante il dato che verrà reso noto tra circa 1 mese, relativo al mese di maggio, che dovrebbe uscire proprio il giorno precedente la prossima riunione della FED in cui si dovrebbe decidere sul nuovo eventuale rialzo dei tassi.
Negli ultimi 15 mesi il tema inflazione ha tenuto banco: vuoi perché era un argomento quasi “passato di moda” (bisogna tornare indietro di circa 40 anni per ritrovarla sui livelli a cui è tornata nei mesi scorsi), vuoi perché è probabilmente l’argomento più “sensibile”, che tutti possono vivere sulla propria pelle.
Ma l’inflazione è solo uno dei tanti argomenti e dei tanti aspetti che ogni giorno “condizionano” se non il “quotidiano” delle persone certamente l’andamento delle attività economiche e di quelle finanziarie.
Oramai non passa giorno in cui non veniamo a conoscenza di studi, analisi, report, dati societari e dati macro economici che portano investitori grandi e piccoli ad assumere atteggiamenti e comportamenti più o meno prudenziali o aggressivi: una valanga di numeri e informazioni che complica non poco la vita, non solo della gente “comune”, ma anche degli “addetti ai lavori”. Ben sappiamo, tanto per citare forse l’errore più clamoroso a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, come l’inflazione fosse stata ritenuta, non più tardi di 18 mesi fa, un fenomeno “passeggero” dalla FED e dalla BCE, gli organismi in assoluto con le informazioni più puntuali e complete…eppure abbiamo visto come è andata.
Dopo lo shock del 2022, con praticamente tutte le asset class che hanno vissuto uno degli anni peggiori che si ricordino, si può dire che stiamo vivendo una fase in cui “si naviga a vista”.
Si susseguono, infatti, dati e statistiche quasi in contraddizione tra di loro, che impediscono di assumere posizioni “precise”, in un verso o nell’altro.
Rimanendo a quelli più recenti, per esempio, negli ultimi giorni della settimana scorsa abbiamo scoperto che la disoccupazione americana ha toccato un minimo quasi storico, il 3,4%: per ritrovarne uno uguale bisogno andare indietro nel tempo sino al 1969. E sappiamo che un basso livello di disoccupazione è sintomo di un’economia ben salda e in crescita.
Di contro, ieri siamo venuti a conoscenza che in Cina le esportazioni e le importazioni sono in calo, entrambe sotto le stime: cosa che, ovviamente, qualche perplessità sulla forza della crescita, non solo di quella cinese, ma anche di quella globale, vista l’importanza di quella economia, la fa venire.
Tornando negli USA, è di grande attualità la crisi delle banche regionali, in alcuni casi salvate dall’intervento della FED e di alcuni grandi player (vedi JP Morgan). E’ indubbio che un qualche impatto sulla crescita potrebbe esserci (almeno negli Stati Uniti). A preoccupare non è tanto un ipotetico default (la rete di “protezione” stesa sembra al momento funzionare), quanto piuttosto le ricadute sulla concessioni di crediti alle imprese e alle famiglie. Di fatto, il settore è chiamato a “tirare la cinghia”, rendendo meno semplice l’accesso ai finanziamenti. Un ulteriore restringimento che si affianca a quello messo in atto, in quest’ultimo anno, dalla FED con l’aumento dei tassi. Aspetto che sta portando la Banca Centrale a pensare a “prendersi una pausa”, appunto per non “sovraccaricare” troppo il sistema (un nuovo aumento dei tassi, al di là di favorire un’eventuale recessione, rischierebbe non poco di aggravare la situazione per qualche istituto).
In Europa, invece, la situazione sembra essere un po’ diversa, con un sistema bancario più solido, in grado di assorbire le sporadiche crisi (vd Credit Suisse, di certo non una banca regionale sconosciuta oltre i propri confini, bensì “sistemica”, viste le interconnessioni a livello globale) ed un’inflazione a livelli superiori di quella americana che costringe la BCE a non “mollare la presa”.
Un quadro, quindi, non così chiaro e definito.
Non a caso, nei loro ultimi interventi, sia Jerome Powell che Christine Lagarde hanno ribadito che le scelte monetarie saranno decise di volta in volta in funzione dell’andamento che si constaterà al momento in cui gli organismi monetari saranno chiamati ad esprimersi, e non seguendo una linea già definita.
Insomma, ancora una volta “l’adelante con juicio” di manzoniana memoria può venirci in soccorso.
Le chiusure non brillanti di ieri sera a Wall Street stanno condizionando, questa mattina, i mercati asiatici.
A Tokyo il Nikkei è in calo dello 0,37%; peggio va a Shanghai, con l’indice che segna – 1,40%, e a Hong Kong, con l’Hang Seng a – 0,42%.
Intorno alla parità i mercati di Australia e India.
Futures che virano la rialzo dopo un avvio incerto.
Questa mattina il petrolio è in discesa, con il WTI che perde lo 0,91%: quotazione comunque superiore ai $ 73 (73,11).
Gas naturale Usa a $ 2,245 (- 1,10%).
Oro a $ 2.036, in calo dello 0,43%.
Spread a 190,6 bp, con il BTP sempre in area 4,20%.
Treasury a 3,51% sui livelli di ieri.
€/$ a 1.0969.
Bitcoin ancora in fase di “stanca”, a $ 27.626.
Ps: il problema, a questo punto, diventa anche etico. Può un uomo di sport, per quanto possa il migliore al mondo nella sua specialità, avere un ingaggio di $ 600ML (seicentomilioni….) all’anno? Questa, pare, l’offerta ricevuta (o che starebbe per ricevere) Lionel Messi per andare a giocare con l’Al Hilal nel campionato arabo (dove già gioca Cristiano Ronaldo, però per “soli” $ 200 ML all’anno). Stiamo parlando di calcio, non di scienza che può salvare milioni di vite umane. Ma forse non è così. In ballo non c’è solo lo sport, ma qualcosa di più grande e ben più importante: far apparire libero un Paese dove la libertà è ancora un traguardo da raggiungere.